TORNEO CALCIO A 8 TORINO – La Lampara cala il poker e si aggiudica vincendo di misura per quattro reti a tre il match contro il Top Team, Moffa con la sua doppietta è il mattatore di serata. I Senzanome devono arrendersi al Patatinaikos autore di una prestazione superlativa grazie a Bomber Viglione autore di tre delle cinque reti con le quali i blacks raccolgono la posta in palio, a nulla servono i due goal degli avversari. Partita combattuta anche tra FC Fresh e FC Zeus, la spuntano quest’ultimi per quattro a tre, Puonzo con i suoi due goal personali trascina i suoi compagni alla vittoria.
LA storia di Tofik Bakhramov
Mondiali del 1966, l’Inghilterra conquista il titolo al termine di una finale che ancora oggi viene ricordata per il gol-fantasma più famoso di tutti i tempi. Quello realizzato da Geoff Hurst e convalidato dal “russian linesman”
Gianni Brera riteneva che Tofik Bakhramov, il guardalinee sovietico della finale mondiale tra Inghilterra e Germania andata in scena a Wembley il 30 luglio 1966, fosse in malafede quando, richiesto dall’arbitro svizzero Gottfried Dienst, giudicò dentro la palla scagliata al 101° da Geoff Hurst sulla traversa e rimbalzata sulla linea di porta. Brera sospettava che Bakhramov volesse in qualche modo vendicare l’eliminazione dell’URSS nella semifinale per opera dei tedeschi [G. Brera, I mondiali di calcio, 2010, pp. 76-77]: i sovietici l’avevano patita come un furto (legittimato da Concetto Lo Bello) perché costretti a giocare in nove per l’espulsione dell’attaccante Igor Cislenko che si era aggiunta all’infortunio di Sabo.
Pare che l’inviato dell’“Équipe” commentò sobriamente: “Chi parla di complotto a favore dei tedeschi e degli inglesi può sostenere questa tesi con le cifre: nelle ultime tre partite disputate la Germania ha giocato contro squadre di dieci e nove giocatori: l’Argentina in dieci (un espulso), l’Uruguay in nove (due espulsi) e l’URSS in nove (un ferito severamente, un espulso)”. Se poi vogliamo tenere presente come presidente della FIFA fosse allora il britannico Stanley Rous, che era riuscito a ottenere che l’organizzazione della fase finale dei mondiali venisse affidata al proprio paese, di temi per alimentare la cultura del sospetto ve n’erano ben più d’uno, come sapeva bene quell’uomo di mondo, memore di storia, che era il nostro Giaonbrerafucarlo.
La situazione era complessa e banale, a un tempo. Complessa per il contesto delle relazioni internazionali che gravava allora anche sulle manifestazioni sportive: a distanza di mezzo secolo è difficile immaginare la reale portata del clima di guerra fredda che teneva vivo il ricordo, ancora recente, del conflitto mondiale scatenato dalla follia nazista; per il regime sovietico era un’onta aver perso dalla Germania, con la quale era in corso il drammatico braccio di ferro che appena pochi anni prima aveva diviso Berlino in due città separate da un muro fisico e ideologico. Banale perché l’episodio del gol “fantasma” di Wembley, tornato di recente d’attualità per la decisione dell’International Football Association Board di aprire alle tecnologie in casi del genere, consente di rievocare alcuni aspetti, anche un po’ ameni, di quella vicenda che sono passati in secondo piano rispetto alla questione del gol o no gol.
Innanzitutto cominciamo col ricordare che Bakhramov non era russo e nemmeno guardalinee: Tofik Bachram-og’ly Bakhramov era infatti azero e arbitro internazionale dal 1964. Da giovane (era nato a Baku nel 1926) aveva fatto il calciatore e negli ultimi anni di guerra era stato arruolato col grado di sergente dell’Armata rossa; ripresa l’attività pedatoria aveva subito un grave infortunio alla gamba che lo aveva indotto a seguire la carriera arbitrale, dove arrivò ad arbitrare stabilmente le partite del maggiore campionato dell’URSS. Selezionato dalla sua federazione come arbitro ai Mondiali del 1966, vi diresse nei gironi eliminatori Spagna-Svizzera annullando il gol regolare del pareggio elvetico: un debutto perlomeno incerto, cui però fece seguito inopinatamente la designazione, insieme al collega cecoslovacco Karol Galba (che aveva arbitrato senza contestazioni Uruguay-Francia 2:1, sempre nei gironi), come guardalinee per coadiuvare lo svizzero Gottfried Dienst nell’arbitraggio della finalissima (era allora abitudine impiegare nel ruolo degli arbitri).
Potremmo pensare che la carriera di Bakhramov finì stroncata il giorno del pateracchio di Wembley, ma saremmo degli ingenui. L’uomo era scaltro e navigato e godeva di protezioni altolocate. La decisione che assunse in quel pomeriggio londinese si rivelò la fortuna della sua vita. Non solo ottenne un riconoscimento dalla regina Elisabetta, il “Golden Whistle”, per i suoi “services to England”, ma i dirigenti calcistici internazionali gli fecero dirigere una semifinale di Coppa delle Coppe l’anno successivo, la semifinale di Coppa dei Campioni 1968 tra Manchester United e Real Madrid all’Old Trafford (1:0, gol di George Best), un’altra partita ai Mondiali del 1970 (Perù-Marocco 3:0), la finale di andata di Coppa UEFA 1972 tra Tottenham e Wolverhampton (curiosamente sempre squadre inglesi …), e infine quella, sempre di andata, della Coppa Intercontinentale tra Ajax e Independiente, giocata il 6 settembre 1972 ad Avellaneda, in cui Bakhramov non seppe stroncare il gioco duro degli argentini: al 27° una “patada” (uno zompo, nel gergo dei tifosi gauchos) di Dante ‘Tano’ Mircoli, un italiano naturalizzato argentino che si era dedicato a uomo su Johan Cruijff, costrinse quest’ultimo a finire lì la sua partita (non senza avere segnato il primo gol al 6°); durante l’intervallo i compagni di squadra del fuoriclasse olandese non volevano rientrare in campo per protesta e fu solo grazie all’opera di convinzione del loro allenatore Ştefan Kovács che la partita poté essere portata a termine (1:1, con pareggio argentino a 8′ dalla fine); ma la questione ebbe uno strascico perché dopo aver battuto 3:0 gli avversari nella finale di ritorno, l’Ajax decise di non partecipare alla competizione l’anno successivo (lasciando alla Juventus la gloria di farsi battere, sempre dall’Independiente, in gara a unica a Roma). Insomma, una carriera arbitrale di discreto livello, ma macchiata da episodi discutibili che mostrarono una palese carenza di autorevolezza.
Terminata l’attività sul campo, Bakhramov scalò i ruoli dirigenziali, dapprima nella federcalcio sovietica e poi, caduto il regime, in quella dell’Azerbaigian, di cui, al momento della morte nel 1993, rivestiva l’incarico di segretario generale. Le gesta di Wembley gli valsero l’imperitura gratitudine degli inglesi, mentre in patria divenne un vero e proprio eroe nazionale. Nelle sue memorie (sì, pare che scrisse pure un’autobiografia) si dice che Tofik ricordò così quell’episodio: ”Non ho visto il punto in cui la palla è rimbalzata, ma ero in ogni caso convinto che fosse rimbalzata in campo dopo avere toccato la rete e non la traversa’‘. Dunque non vide, ma decise con sicurezza pari alla sicumera. Se rivediamo l’azione a velocità televisiva si notano almeno cinque cose:
- Bakhramov è in ritardo sulla linea laterale, per palese carenza dinamica, e non segue la posizione dell’ultimo difensore tedesco (il n° 2 Horst-Dieter Hoettges, che aveva accompagnato sulla linea di fondo l’attaccante inglese Alan Ball autore del cross per Hurst) ma è in una posizione diagonale (e non perpendicolare) rispetto al pallone quando questo batte sotto la traversa e poi per terra;
- il movimento del pallone è rapidissimo e di difficile lettura, tanto che l’arbitro Dienst si rivolge direttamente al guardalinee di sua iniziativa e non su sollecitazione dei giocatori tedeschi (anzi, sulle prime gli inglesi sembrano temere per l’annullamento del gol);
- Bakhramov compie un saltello (come se gioisse?) dopo il rimbalzo della palla e le esultanze degli inglesi;
- effettivamente si alza uno sbuffo di calce alla ricaduta della sfera sulla linea di porta, come sostennero subito i tedeschi;
- il dialogo, più a gesti che a parole, tra Dienst e Bakhramov è caratterizzato dalla risolutezza di quest’ultimo nell’indicare il dischetto di centrocampo. Da qui i molti sospetti che suscitò subito.
Per trent’anni ognuno rimase della propria opinione fino a che non arrivarono i professori (quelli veri, dell’università) a sciogliere ogni dubbio: nel 1995 l’ateneo di Oxford, che è noto per le sue ricerche serissime, ne finanziò una di indubbia utilità che accertò definitivamente, con l’uso di sofisticate tecnologie, quel che si intuisce a occhio nudo grazie alla telecamera: e cioè che il pallone rosso (il fascinosissimo “Slazenger 25 Challenge 4 Star”) non aveva superato la linea di porta, e che il gol era irregolare. Come tutto il mondo non insulare aveva sempre pensato.
Bakhramov ebbe in sorte di chiudere gli occhi per sempre prima del verdetto tecnologico e portò con sé la sua salda (e cieca, come tradirono le sue stesse parole) convinzione di essere nel giusto. Appartiene invece alla testardaggine albionica la posizione ribadita, ancora nel 2006, da Sir Geoffrey Charles Hurst: “my goal was a good one. But the referee couldn’t follow the ball’s trajectory, and the linesman, Bahramov, did it for him. Everything happened in a flash – the ball crossed the goal line, hit the ground and came out again. In other words, many people couldn’t see it. Everyone looked at the referee, waiting for his decision. The referee was confused, but the linesman Tofiq Bahramov was adamant that it was a goal. He made a perfectly correct decision. This goal was later analysed on computers and most supported Bahramov“. A conferma dell’assioma che il mondo è bello perché è vario.
Su quegli istanti concitati e destinati a passare alla storia sono fiorite leggende, ovviamente variegate, ma tutte centrate sugli stereotipi nazionali e di guerra: secondo una versione, qualcuno urlò dalle tribune a Bakhramov “Ricordati di Stalingrado!”, riferendosi all’assedio portato dai tedeschi nel secondo conflitto mondiale (una versione però inficiata da alcuni sul piano filologico, perché l’arbitro azero non avrebbe compreso l’inglese); un’altra scuola di pensiero ritiene invece che fu Bakhramov che avrebbe risposto alle proteste dei tedeschi citando Stalingrado (ma si ammette anche che nessun giocatore lo ha poi mai confermato); una terza variante vuole invece che sia stato il CT tedesco Schön a cercare di placare le ire dei suoi giocatori rammentando loro che stavano giocando contro l’Inghilterra, che il guardalinee era sovietico, e che la Germania aveva perso la guerra, e che perciò anziché lamentarsi occorreva sopportare e tacere. In alcuni filmati del dopo partita si vedrebbe anche un buffetto che il Kaiser Franz avrebbe rifilato sulla nuca a Bakhramov, come a dirgli “è tutto merito tuo, eh?“.
Fatto sta che sia in Inghilterra (e vorrei vedere!) sia in patria Tofik Bakhramov continua a essere oggetto di venerazione. In Azerbaigian se ne onora la notorietà internazionale, e quel che ne derivò in termini di attenzione al calcio azero: non a caso lo stadio nazionale di Baku è stato intitolato alla sua memoria nel 2005. L’anno successivo, in occasione del centenario della prima partita di calcio giocata in terra armena convennero a Baku per coltivare il rispettivo elettorato anche gli alti papaveri Joseph Blatter e Michel Platini. Un inquietante colosso statuario in stile sovietico, raffigurante il buon Tofik in mutande, fischietto e braccio teso a punire, fu scoperto il 6 giugno 2006 alla presenza di Geoff Hurst e di Hans Tilkowski, il portiere della nazionale tedesca nella finale di Wembley.
Per quarant’anni i due avevano polemizzato a distanza, senza mai incontrarsi, fermi nelle rispettive posizioni: gli storici parlerebbero di memoria non condivisa. Bastò il buon vecchio Sepp per riappacificarli nel segno di Bakhramov. Ma fu Sir Hurst a dominare la scena quel giorno; gli azeri lo accolsero come un mito, ed egli ebbe a dichiarare: “In Europe there are not many federations that can boast of a hundred years of history. Azerbaijan is not a strange land to me, because it is the homeland of my friend, Bahramov”. A riconferma dell’assioma che il mondo è bello perché è vario.